De André una volta disse a Villaggio

Fotografia da Corriere.it
Paolo Villaggio e Fabrizio De Andrè in compagnia durante una cena

Anche i cosiddetti VIP hanno la loro vita privata e certe vicende che li riguardano emergono solo dopo che sono morti, passando spesso inosservate agli occhi dei più.

È quanto ho pensato oggi, quando ho letto la notizia pubblicata da l’Huffington Post il 3 luglio scorso

“De Andrè l’ultima volta mi disse: ‘Smonta quella faccia, so bene cosa mi sta per succedere: non ho paura della morte”

Il titolo dell’articolo sono le parole usate da Paolo Villaggio ricordando uno degli ultimi incontri tra lui e Faber.

Ora che entrambi questi amici sono morti, cosa resta di loro? Sicuramente, il ricordo dei loro cari .

A noi, semplici persone che lo slang – a volte – definisce fan, resta ben poco: non credo che pensiate ossessivamente all’artista morto (se è morto)

  • Ascoltando un suo brano
  • Guardando un suo film
  • Leggendone una vecchia intervista

Lo stesso accade con le persone a noi vicine, purtroppo: una volta elaborato il lutto, ci ricorderemo di loro solo il 2 novembre di ogni anno ed in occasione dell’anniversario della morte.

Credo che basterebbe poco a risolvere il problema: con una certa regolarità, dovremmo imporci di rispolverare l’album dei ricordi. Prendere in mano una vecchia lettera o una vecchia fotografia può servire a mantenere vivo il ricordo.

In fin dei conti, è ciò che ha fatto Paolo Villaggio con De Andrè: ne ha ricordato un aneddoto. Credo che gli aneddoti siano il modo migliore per mantenere vivo il ricordo delle persone.

3 pensieri riguardo “De André una volta disse a Villaggio”

  1. Condivido solo parzialmente questo pensiero. Se può esser vero che di un artista non sentiamo la mancanza, tutto diverso per le persone care. Quest’ultimo caso è paragonabile alla perdita di un arto, impossibile non ricordarsene ogni giorno. Perchè ciò accada non serve neanche che si verifichi l’evento estremo, è sufficiente una separazione.

    1. Grazie Joseph per il commento. Ammetto di essere stato poco chiaro, chiedo scusa. Anche se ho citato espressamente il 2 novembre, mi riferivo ad ogni tipo di “elaborazione del lutto” che dobbiamo fronteggiare…quella che tu chiami – giustamente – “separazione”.

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