Non so se ho scelto il video di stasera dal sito de La Repubblica perché mio zio è stato un poliziotto oppure perché volevo far notare che non sempre le cose vanno come a Stefano Cucchi, oppure ancora perché occorre sempre ricordarsi che – prima che di migranti – parliamo di persone.
I motivi possono essere tutti e tre insieme. C’è chi, alla vista di un poliziotto, controlla di avere tutto in ordine C’è chi lo affronta come se fosse sempre dalla parte della ragione, nonostante ciò che dice la legge.
La divisa ha certamente la funzione di far riconoscere un poliziotto o un medico all’interno di un gruppo di persone, ma anche i poliziotti sono sono persone. Lo dimostra il fatto che un agente si china ad altezza di bambino con viso allegro improvvisandosi prestigiatore.
Spesso vediamo la categoria a cui appartiene un individuo:
- Poliziotto
- Migrante
- Bandito
Nessuno, però, fa la domanda principale
Tu chi sei veramente ?
Non c’è dubbio che la risposta non sia né scontata, né facile. Forse non serve una risposta verbale. Servirebbe – piuttosto – una risposta non verbale, che implica il permettere all’altro di mostrarsi per ciò che è, frequentandolo un po’.
Ammetto che la vicinanza con una persona nuova possa creare disagio, a volte…ma è sicuramente peggio osservare gli altri a distanza. Basta una banale scusa per attaccare bottone con qualcuno: il resto verrà da sé.
Mi piace immaginare cosa accade dopo che è stato girato questo video: qualcuno (forse l’operatore dietro la telecamera? Forse uno o entrambi i genitori dei bambini? Chi lo sa?) fa qualche domanda al ragazzo in divisa blu, scoprendone dei lati del carattere che il lavoro e la formalità annessa non ci permettono di notare.
A volte pensiamo che incontreremo una persona solo una volta nella vita e mai più ma, come vi ho sempre detto, non si può prevedere il futuro, perciò è meglio tenere buoni rapporti con tutti.