
Il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista) di Twitter è che due persone possono leggersi a vicenda anche se non si conoscono personalmente. Proprio grazie a questo fatto ho potuto leggere la frase postata stamattina da Emma Lu Griffin
Non ti conoscono e allora ti inventano
Se due o più persone si conoscono è consuetudine parlare anche di conoscenze in comune assenti in quel momento. È una cosa che ho sempre odiato. Le considerazioni fatte si basano su punti di vista e congetture, senza che la persona oggetto della discussione possa replicare, poiché assente.
La vita di chiunque è abbastanza complicata, poiché composta da molte sfaccettature: alcune di esse non sono prese in dovuta considerazione dagli altri. Anche l’individuo più espansivo di questo mondo è costretto a descriversi in maniera un po’ semplicistica, per non monopolizzare il discorso. Inoltre, nessuno può dire di conoscersi profondamente, sotto ogni sfaccettatura, perché è poco probabile che abbia sperimentato tutte le esperienze possibili ed immaginabili. Un giorno o l’altro potrebbe scoprire di apprezzare un particolare sport di cui – oggi come oggi – non ha mai praticato.
Per colmare queste lacune (chiamiamole così) gli amici possono fare delle supposizioni. Purtroppo, spesso si confonde la supposizione con la certezza: siccome penso che una persona sia fatta in un determinato modo, allora sarà sicuramente così.
Sembra che ci stiamo dimenticando uno dei canoni fondamentali della scienza: per confermare una teoria occorrono le prove. Naturalmente, non possiamo trattare gli amici come cavie da laboratorio, facendo domande che suonano come un test psicologico e giungere a conclusioni spesso errate, se non siamo dei professionisti.
Se non conosciamo il motivo del comportamento di una persona, in genere è utile aspettare il momento più opportuno per porre una domanda specifica al diretto interessato: può nascere una discussione interessante.