
Come potete vedere dall’immagine, La Repubblica ha pubblicato un’articolo relativamente alla libertà di Annamaria Franzoni, che ha terminato di scontare la sua pena successiva al famoso delitto di Cogne.
Lasciamo perdere, per un momento, la divisione delle persone che la considerano colpevole o innocente: la giustizia ha fatto il suo corso, tra sconti di pena ed attenuanti è deciso così.
Il punto sono le persone che hanno sempre potuto apprezzare la libertà, i cosiddetti incensurati. In genere, all’opinione pubblica interessa poco dei motivi che hanno portato al fine pena e – conseguentemente – alla libertà di un condannato. E’opinione comune che un ladro resti sempre un ladro, anche dopo anni di galera.
Anche conoscendo i fatti solo in base a quanto pubblicano giornali e telegiornali, solo ai giudici sembrano interessare le regole della legge e solo agli psicologi, ai criminologi e agli psichiatri (per motivi diversi) sembra interessare cosa è passato nella mente di una persona che ha commesso un pur terribile delitto.
In breve
- La giustizia ha fatto il suo corso
- La pena è stata espiata
- Una persona è libera in base a parametri di legge
eppure le persone che meno conoscono la vicenda sono quelle più propense a condannare. Nonostante il lavoro fatto in una comunità protetta, un condannato avrà difficoltà a reinserirsi nella società. Mi pare lecito domandarsi
Perché accade?
La risposta è da ricercarsi in un misto di emotività e credenze personali: troviamo la scarcerazione ingiusta e la cosa ci fa arrabbiare.
Non consideriamo un fatto che avviene spesso, non solo in questo caso, quando ci troviamo davanti a qualcuno che – secondo noi – si è comportato scorrettamente: qualunque sia la sua storia personale, noi possiamo avere un’idea solo parziale di come siano andate realmente le cose.
Difendere le proprie opinioni è giusto, usarle per condannare una persona che sta apprezzando nuovamente la libertà no