Anche negli anni sessanta esisteva il razzismo, ma le persone prendevano posizione contro chi denigrava chi aveva la pelle nera. Oggi anche i maestri insegnano a fare il contrario.
Non è una provocazione, ma una semplice considerazione che mi sento di fare dopo aver paragonato il testo della canzone pelle nera portata al successo da Nino Ferrer, con la notizia di un insegnante di Foligno che considera brutto un proprio alunno perché – appunto – ha la pelle nera. Il fatto che i compagni abbiano preso le difese del ragazzino ci fa capire che – forse – il razzismo è una cosa che esiste solo nella testa di certi adulti.
Le persone adulte (almeno quelle non direttamente coinvolte) si sono limitate a leggere la notizia sul giornale e – magari – a parlarne con qualcuno in un momento di pausa. Quelle stesse persone, forse, domani saranno infastidite dal venditore ambulante che cercherà di proporre loro piccoli libri o resteranno schifate dall’enorme massa di migranti di turno.
I libri di storia sono pieni di pagine che ci insegnano cosa sia il razzismo ma, come aveva detto qualcuno
La storia è maestra, ma nessuno impara mai niente
Il problema riguarda una cosa che facciamo spesso senza rendersene conto: non ci soffermiamo su ciò che abbiamo imparato dalle esperienze passate.
Ad ogni persona sarà capitato di non sentirsi
- Capito
- Accettato
- Considerato
in qualche frangente. E’ un problema come quello della pelle: riguarda tutti noi, ma non ci pensiamo. Tuttavia, quando una cosa ci torna utile, ci fa divertire o emozionare in qualche modo, come la famosa canzone pelle nera, nessuno pensa che il colore sia un problema. Abbiamo amato Cassius Clay, abbiamo continuato ad amarlo anche quando divenne Muhammad Ali. Ci siamo commossi per la sua fatica ad accendere il braciere olimpico di Atlanta. Nessuno si è mai lamentato per il colore della sua pelle: perché dovrebbe essere diverso per un bambino?