
Non è la prima volta che parlo di maschere, ma è la prima volta che mi capita che una persona ammetta di averne una.
Antares sostiene nel suo tweet postato ieri
Di me leggete i miei tweet con tono pacato, ma nella vita reale:ho un vocione che stona, parlo urlando, dico molte parolacce, sbaglio verbi a iosa, dico più vaffa che buongiorno e buona notte. Qui ho solo una maschera
Può sembrare un’affermazione negativa, ma io noto un lato che – forse – può sfuggire: Anthares ha gettato la maschera, descrivendosi come persona reale. Essere una persona reale è una condizione che – spesso – dimentichiamo su internet, ma non solo.
In genere, frequentando vari ambienti (virtuali e non) cerchiamo di apparire nel modo migliore possibile: giusto…ma fino ad un certo punto. Non ammettiamo a noi stessi e agli altri che abbiamo di debolezza.
Mettendoci una maschera praticamente ogni giorno, abbiamo solo due modi per sfogare in modo (più o meno) sano il nostro eventuale malessere:
- Praticare un hobby
- Chiudersi in casa, anestetizzarsi il cervello davanti alla televisione e – magari – tirare testate ad un muro
Nel primo caso, gettiamo la maschera, dedicandoci con il massimo impegno possibile a qualcosa che ci fa stare meglio. Nel secondo, cerchiamo di sfuggire al dolore, sperando che – prima o poi – passi da solo.
Il massimo della vita sarebbe usare sempre il primo modo: il dolore si trasforma in qualcosa di positivo. Sfogarsi dedicandosi ad uno sport ci permette di tenerci in forma, per esempio. In alcuni casi, però, il dolore è troppo grande e forte per permetterci di agire positivamente.
Tante volte ci hanno detto di non piangere, tuttavia non è che una reazione umana. Le lacrime non sono altro che la sostanza fisica con cui espelliamo il dolore. Non c’è nulla di cui vergognarsi nel farlo, anzi: quando vediamo qualcuno piangere, dovremmo spronarlo a sfogarsi ed ascoltarlo.