In questi giorni, Milano era piena di Alpini ed anche i loro caduti erano con loro, almeno nello spirito. Quale migliore modo per ricordare sia gli Alpini che i loro caduti con il brano Signore delle cime, in pratica il loro requiem?
Può sembrare strano celebrare qualcosa che non sia un funerale con un coro come Signore delle cime, eppure ha una sua logica, almeno se ragioniamo in termini umani e spirituali, non pratici.
Gli Alpini ci possono insegnare una cosa fondamentale: un gruppo resta sempre un gruppo, anche quando una persona che ne faceva parte è morta. Volendo essere meno tragici, il gruppo degli alpini resta unito anche quando la maggior parte di loro si è congedata.
Non è un caso che il primo verso della canzone reciti nel testo
un nostro amico hai chiesto alla montagna,
ma ti preghiamo, ma ti preghiamo,
su nel Paradiso, su nel Paradiso,
lascialo andare per le tue montagne.
Bepi de Marzi, autore del testo, interpella il Signore raccomandandogli un amico non un
- Collega
- Commilitone
- Conoscente
Vorrei farvi una domanda
Come chiamereste una persona con cui condividete gran parte della vostra giornata, magari anche la notte in una camerata?
Forse amico non è la parola che usereste subito, lo ammetto, preferendo la parola compagno (senza dargli significati politici, ovvio). Tuttavia, l’amicizia è anche – e soprattutto – trascorrere del tempo insieme, anche quando si tratta di dovere.
Molti di noi – io incluso – non hanno fatto l’alpino, tuttavia dovremmo imparare molto da loro, in questo senso. Trascorrendo molto tempo insieme, ci vuole un grande sforzo per non lasciarsi coinvolgere dalle vicende altrui e non entrare in confidenza.
Siamo sempre fin troppo disposti a fare questo sforzo, in nome di una privacy che ha rasentato il ridicolo. Capisco che il dovere prende il sopravvento su tutto il resto, tuttavia non dovremmo essere così chiusi con le persone con cui condividiamo gran parte della nostra giornata.