
La pagina Facebook Kotiomkin ha voluto parlare di neri oggi, postando la frase
Quindi i neri degli USA sono più fighi di quelli sui barconi a Lampedusa, altrimenti non si spiega
Il razzismo, quindi, sembra essere più una questione di passaporto che di colore della pelle. A prescindere se siano neri, bianchi o gialli, reputiamo quasi figo chi vive negli Stati Uniti, mentre chi vive in Africa non è figo: anzi, per alcuni non merita nemmeno di essere considerato.
Non abbiamo l’abitudine di chiedere il passaporto alla prima persona straniera che incontrate per strada. In genere, guardiamo altre cose:
- Come è vestito
- In che modo parla
- Perché si trova in quel luogo in quel momento
Prendiamo per esempio proprio due neri: se incontrassimo per la strada Tiger Woods faremmo la fila per avere un suo autografo, anche se non seguiamo il golf. Se sulla stessa strada incontrassimo un senegalese senza nome, cercheremmo di scansarlo o gli faremmo la carità. Il motivo semplice: Tiger Woods è figo, l’immigrato senza nome no, ovviamente a prima vista.
Non vogliamo sentirci raccontare storie di povertà o di vita grama e prendiamo le persone con cui parliamo come modello a cui ispirarci. Consideriamo l’immigrato nero una sorta di ladro di posti di lavoro.
Tutto questo avviene a prima vista oppure per sentito dire. Il modo per vincere questa forma di razzismo c’è: vincere le nostre resistenze. Scambiando anche solo qualche parola con sconosciuti, a prescindere dal colore della pelle, vi si aprirà davanti agli occhi un mondo. Non mi stupirei se, dopo aver concluso la conversazione, il povero nero senza nome vi apparirà più figo di Tiger Woods. Per saperlo, dobbiamo essere curiosi verso il prossimo e trattarlo da pari a pari.