
Come ci ha ricordato Il Corriere della sera su Twitter, una volta Dacia Maraini scrisse la frase
La violenza una volta innestata in un cuore impaurito e debole, non torna indietro
Il ragionamento della saggista non si può riassumere in poche righe. Leggendo l’articolo si capisce che il meccanismo legato alla violenza è perverso: si odia o si teme, a seconda del ruolo che abbiamo negli episodi di violenza, chi si dovrebbe amare.
L’istinto può venire in soccorso,sia delle persone che odiano, sia delle persone che temono: piuttosto che aggredire o subire, è meglio fuggire ed allontanarsi. Dalla prospettiva del potenziale violentato, è un modo per difendersi dai soprusi, dall’ottica del potenziale violentatore, è un modo per non finire in galera.
Potrebbe sembrare un ragionamento che tende a sopprimere gli istinti in virtù della ragione: in realtà, sfrutta l’istinto di conservazione. Quando ci sentiamo in pericolo, il primo istinto che abbiamo è quello della fuga, generato dalla paura.
Durante il tempo della fuga nessuno deve restare immobile: il potenziale violentatore deve trovare il modo di incanalare la sua rabbia e la sua frustrazione affinché non nuoccia al prossimo, il potenziale violentato deve trovare il modo di rendersi più forte psicologicamente.
Usare le mani non porta ad alcun risultato, almeno fuori da un ring. Molto meglio incanalare rabbia e frustrazione, che entrambi le parti provano, in un modo più costruttivo.
Questo rende persone migliori: permette di far venire fuori il meglio di sé in un ambito che giudichiamo piacevole senza farsi vincere dalle avversità della vita e – soprattutto – senza rivalersi sul prossimo con forme di violenza. Il risultato è lento, ma – migliorandosi – aumenta l’autostima…e riusciremo a difenderci o a non attaccare, anzi, riusciremo ad amare il prossimo.