Era il 1992 quando Lorenzo Zecchino chiese a sua madre in diretta dal Festival di Sanremo con una canzone
Che ne sai della notte?
Che si tratti della propria madre o di qualcun altro, nella nostra vita c’è sempre qualcuno che vuole sapere tutto di noi. Ironia della sorte, spesso non sappiamo nulla dell’altro.
Ironia della sorte, spesso le persone curiose vogliono sapere cose che è impossibile spiegare se non si provano in prima persona: provate a cercare di spiegare il motivo per cui vi piace un determinato film a qualcuno che non lo ha mai visto e capirete cosa intendo dire.
Per questo nella vita si tende a dire
Che ne sai di me?
In questo caso, la questione è un po’ complicata, lo ammetto: spesso non teniamo conto del nostro linguaggio non verbale e dell’inconscio, quelle due cosucce che rivelano di noi più di quanto non vogliamo.
Chiunque – psicologi a parte – dovrebbe passare con noi almeno otto ore al giorno per un anno per comprenderci veramente: persino il carattere più semplice è pieno di sfaccettature.
Non dimentichiamo, poi, che solo un’esigua minoranza di persone – considerando la popolazione mondiale, ovviamente – è veramente psicologo. Molti di quelli che tendono a giudicare dovrebbero essere i primi a sdraiarsi su un lettino per comprendersi un po’ di più, prima di giudicare la vita degli altri.
Seppure sia difficile far comprendere alle altre persone cosa si prova quando si fa una determinata cosa, sarebbe utile far provare al nostro interlocutore la nostra stessa esperienza e poi scambiarsi di ruolo. In alcuni casi, troveremo qualcosa che non abbiamo mai provato e che ci risulta gradevole, in altri potremmo dire di aver provato qualcosa che non ci piace.
In estrema sintesi
Parla solo di ciò che sai, non di quello che credi di sapere