
Questo è forse il momento migliore – o peggiore, a seconda dei punti di vista – per parlare di palloni da calcio, come fa Beppe Severgnini nell’articolo pubblicato su Il Corriere della Sera.
Non credo sia un caso che decine di palloni da calcio siano stati trovati sul tetto della chiesa di Ascoli Piceno. Tutte le persone che conosco hanno tirato i primi calci alla sfera di cuoio nei campi parrocchiali. Se il prete non permetteva di giocare, c’era qualche campetto di periferia. In ogni caso, si calciava il pallone sognando i mondiali.
Il problema è che non si gioca più a calcio e non si praticano altri sport come una volta. Tanti ragazzini hanno sognato di diventare calciatori o sportivi famosi la prima volta che sono scesi in campo. Tuttavia, sentono una grande responsabilità addosso allo scopo di eccellere.
La colpa non è loro, ma delle persone che li hanno cresciuti. Tanti genitori sognano di avere un figlio che raggiunga il successo, magari in un campo in cui il genitore non è riuscito. La pressione che sentono addosso i pargoli fin dalla tenera età è molto più alta che in passato.
Ad un certo punto della vita perdiamo la passione per ciò che facciamo, dando priorità al dovere di eccellere. La colpa non è di nessuno, se non della società in cui viviamo.
Per tornare ad eccellere in un qualsiasi campo, dobbiamo ritrovare la passione: fare qualcosa semplicemente per il gusto di farlo e non per conseguire un risultato. Se ci riusciamo noi, riusciremo poi a trasmettere lo stesso concetto ai nostri figli.
Non è importante essere famosi in società, l’importante è essere soddisfatti di ciò che si è e di ciò che si fa. Per riuscirci, dobbiamo ritrovare la passione.